lunedì 3 novembre 2008

Il partito del cemento

Ecco un'ottima lettura, adatta anche a tanti fidentini fiduciosi nelle "magnifiche sorti e progressive" del nostro borgo. Ho appena iniziato a leggerlo ed è davvero istruttivo o, se si vuole, sconvolgente. Parla soprattutto del "sacco della Liguria", ma lo si potrebbe, temo, ambientare tranquillamente anche qui da noi.

Futuri obiettivi del partito del cemento?

C’è una zona di Fidenza su cui i costruttori locali hanno sicuramente puntato gli occhi. È quella raffigurata nella foto satellitare tratta da Google:




Avete già capito qual è?
Al centro di essa ci sono degli edifici storici che hanno un valore architettonico e urbanistico notevole. Non solo: sono strettamente legati alla storia della città e al ricordo di tante generazioni di borghigiani.
Avete già indovinato di cosa si tratta?
Ora ve li mostro in dettaglio nella prossima foto satellitare.




Li avete certamente individuati, vero?
Sono il vecchio oratorio don Bosco, chiuso da tempo, e il Cinema Cristallo, ancora attivo, fin quando resisterà al minacciato avvento di una multisala periferica. Il timore che su di essi possa abbattersi la furia devastatrice dei cementificatori non è per nulla infondato.
In quel cortile hanno svolto attività ricreative, culturali, sportive e religiose generazioni di ragazzi. Ci giocava anche la Fulgor, la prestigiosa squadra di pallacanestro borghigiana. Vi si svolgeva a giugno il Torneo dei bar, cui partecipavano anche star del basket di serie A. Quel cortile, ancora fin oltre la metà degli anni ’60, brulicava di vita ed echeggiava di suoni.
Il vecchio Cinema San Donnino, modernizzato e ribattezzato Cristallo verso la metà degli anni ’60, è l’ultima sala cinematografica sopravvissuta in una città di 25.000 abitanti. Se dovesse scomparire, Fidenza, nella presunta corsa alla modernizzazione, farebbe un passo indietro di quasi un secolo.
Chi può salvare il vecchio oratorio? Chi può impedire che il Cristallo lentamente muoia? Un’amministrazione illuminata? Imprenditori non interessati soltanto al profitto ma anche alla conservazione dell’identità storica della città? Associazioni di cittadini che si uniscono per salvare un pezzo della storia del Novecento e dell’attualità fidentina? Tutte queste realtà insieme, ammesso che esistano? Non lo so, ma di sicuro so che non vorrei vedere altre demolizioni e altre nuove palazzine più o meno signorili che sorgono dentro (e fuori) le mura del borgo medievale.


lunedì 27 ottobre 2008

I difensori del cemento che avanza

Ho letto su Nave Corsara il trattato apologetico del «giovane fidentino … automobilista soprattutto urbano» Alessandro Stefanini.
Prima di dir altro vorrei dargli il consiglio di comprarsi una bicicletta ed usarla per contribuire a contrastare, almeno in parte, con una riduzione delle emissioni di CO2, il continuo abbattimento di alberi in varie zone della città.
Entrando nel merito, mi occuperò di due delle numerose e complesse questioni che lui tratta, dato che di entrambe ho scritto in mie precedenti lettere alla redazione della stessa rivista telematica.
La prima riguarda quella che ho chiamato la «tangenziale fai-da-te». Mi fa piacere che il concittadino abbia già pronta la soluzione, o meglio che si esalti per la soluzione che avrebbe già in mente l’assessore Massari. Gli abitanti di Via Tasso, di Via Isonzo e di Via Piave saranno fin d’ora molto più tranquilli e soprattutto lo saranno i bambini e i genitori che frequentano la scuola elementare di Via Tasso e la scuola materna di Via Isonzo.
Via Illica, dunque, sarebbe la soluzione.
Vediamo un po’. Questo, nella foto satellitare tratta da Google Maps (come le successive), è il primo tratto di Via Illica, che corre a ridosso della massicciata ferroviaria della linea Fidenza-Salsomaggiore. La prima cosa che si nota è che non solo «non è una strada larghissima», ma è decisamente stretta.
La seconda cosa che si osserva è che non solo non è «occupata da baracche e capannoni», ma ci sono anche abitazioni, proprio sul bordo della carreggiata.


Vediamo ora il secondo tratto:




Come si vede c’è un grosso insediamento produttivo e la strada diventa ancora più stretta, a causa soprattutto degli alberi. È vero che a Fidenza si fa volentieri a meno degli alberi, ma…





Passiamo comunque ad esaminare il terzo tratto.
Nel punto 1 c’è una sbarra (si vede anche da satellite): la strada diventa privata.
Nel punto 2 c’è l’uscita dello strettissimo e basso sottopasso che immette in Via Tagliamento. Anche lì c’è una sbarra: la strada ridiventa pubblica. A ridosso della massicciata FS ci sono molte abitazioni. Sarebbe davvero contento il giovane fidentino, che forse abita proprio in una di quelle case, di avere a pochi passi, oltre alla ferrovia, anche la tangenziale sud? E ne sarebbero lieti i suoi vicini di casa?
Ma allarghiamo un po’ lo sguardo:



Come si vede, la prosecuzione di Via Illica gira a destra verso lo Stirone e un altro grande complesso abitativo-produttivo. Si può davvero pensare di far passare di qui la tangenziale sud, cioè un collegamento ad alta densità di traffico tra due arterie come la provinciale per Salso e la Via Emilia?
E se torniamo al dettaglio, si può davvero pensare che l’intersezione tra la futura tangenziale e la statale 9 possa essere realizzata nel punto indicato nella foto sotto col n. 1, dove Via Illica incrocia la Via Emilia, di fianco a un distributore, davanti a un quartiere residenziale, in prossimità di un centro ricreativo estivo parrocchiale, e a pochi metri dal ponte sullo Stirone?




E poi, quanto presto inizierebbero questi lavori per una soluzione che può essere solo transitoria? Nel frattempo Via Tasso e Via Isonzo e i bambini delle elementari e della materna continueranno ad avere la tangenziale sotto casa. E d’estate, per i prossimi tre anni, la strettissima ed esclusivamente residenziale Via Galvani farà quasi sicuramente parte integrante del sistema «tangenziale fai-da-te». Infatti, come si evince dall’oscuro, incomprensibile, «burocratichese» linguaggio adottato da Punto amico notizie a pag. 7, i lavori che si svolgono nell’area del mercato di Via XX settembre e zone limitrofe costituiscono solo un primo stralcio di un progetto che occuperà di certo anche le due prossime estati.
Oltretutto, gli interventi nell’area prevedono una non meglio precisata «sistemazione dell’immobile dove ha sede la Camera del lavoro». Io, eteronimo che ha già visto tante rovine, distruzioni e crolli, che non avrebbe voluto assistere alla distruzione della Casa Panini, non vorrei dover vedere in futuro anche il crollo della Casa dei lavoratori.
E qui veniamo alla seconda questione, quella della «palazzina di tre piani in via Baracca (che non ha occupato la strada, ma una sorta di parcheggio non regolato in piena curva, quindi parecchio pericoloso)». Ne ho parlato brevemente anch’io, insieme a De Sanctis, in un paio di occasioni.
Qui l’apologia diventa mistificazione. Non c’era affatto un parcheggio in piena curva in quel posto. La foto sotto ci mostra la situazione preesistente: la «nuova» centrale di distribuzione dell’acqua costruita negli anni ’60 al centro di un’ampia area verde, delimitata su due lati da filari di pioppi e da una siepe metallica. La strada, inoltre, è praticamente diritta.



Nel dettaglio riportato sotto, i due filari di alberi si distinguono ancor meglio, anche se quello sul lato di Via Palme era già stato violato, forse in vista dei futuri lavori, al tempo della foto.


Le foto che corredano il servizio di De Sanctis sono molto eloquenti e documentano la devastazione totale del filare su Via Baracca e il fatto che la costruzione si spinge ben al di là della linea costituita dal filare stesso e dalla preesistente siepe metallica, come dimostra chiaramente la posizione del pilone d’angolo che la sosteneva (indicato dalla freccia).

In altre parole, la zona ora si presenta più o meno così: il filare di alberi sul davanti cancellato e sepolto dal cemento, il boschetto verso Casa Rabaiotti è a ridosso dei muri del palazzo, che confinano direttamente con la strada, riducendo il marciapiedi a una striscietta strettissima, tutta l’area verde quasi interamente cementificata. Questa è un’approssimazione grafica. Aspettiamo l’aggiornamento di Google per controllare.



Intanto, però, bisogna dire quanto sia riprovevole in sé l’abbattimento di un edificio che rappresentava un pezzo della storia dello sviluppo di Fidenza, che non aveva alcun impatto ambientale e poteva semmai essere utilizzato per un percorso museale sulle tecnologie delle reti idriche. Spero che l’ingegner Vittorio Chiapponi e tanti altri, che hanno visto nascere quell’impianto modernissimo per l’epoca, non si rivoltino nella tomba.
Pubblicato da Nave Corsara il 25 Agosto 2008

mercoledì 20 agosto 2008

Qualcosa è rimasto

Permettetemi di rievocare un’emozione che affonda le sue radici nella lontana infanzia.
Sapevo che esisteva ancora e ci sarò passato accanto chissà quante volte, ma quella domenica pomeriggio l’ho visto con altri occhi ed ha funzionato per me come la madeleinette di Proust. Così, «come in quel gioco in cui i Giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d'acqua dei pezzetti di carta fin allora indistinti, che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili», un intero mondo è sorto intorno a me quando mi sono fermato a guardare un po’ meravigliato, un mondo che nella memoria possedeva la stessa solidità di quello reale.



Percorrevo Via Fratelli Cairoli in bicicletta, nella direzione indicata dalla freccia nella foto satellitare (tratta da Google Maps, come le altre che utilizzo in questo testo), quando l’ho rivisto lì sulla sinistra, immerso in un verde rigoglioso, e mi sono ritrovato d’incanto nella Fidenza di cinquant’anni fa.
È il pozzo n. 1 dell’acquedotto fidentino, ancora miracolosamente intatto in una città in cui molte preziose testimonianze del passato, anche recente, sono state distrutte e sostituite da costruzioni nuove, spesso purtroppo bruttissime. Eccolo indicato dal riquadro nell’immagine in dettaglio e ritratto in una fotografia che ho scattato qualche giorno dopo.







Nella foto, il pozzo circolare in cemento; dietro, la bassa costruzione grigia d’accesso al pozzo e alla sala turbine; la costruzione gialla più alta è la centralina elettrica.


Qualcosa è rimasto, mi sono detto, mentre mi ritrovavo bambino sul bordo del pozzo, in cui non potevo assolutamente scendere. Mio padre mi portava con sé sul sellino posteriore della sua Gilera, quando doveva fare un intervento di manutenzione, con altri operai e idraulici.Io dovevo restare sul prato e, dall’alto, sentivo le loro voci ed i loro richiami echeggiare sul fondo.Quegli uomini portavano nomi mitologici, da epopea greca e romana: Paride, Enore, Egisto, Olinto, Dionisio. Alcuni tra i più giovani si fregiavano di soprannomi anch’essi in qualche modo mitici: il Gigante, Fustella, Trancia.
Per noi, che eravamo i loro figli, bambini o ragazzi tra gli anni ‘40 e i ’60, i lavori dell’acquedotto e le storie epiche che quegli uomini raccontavano erano un’educazione alla vita e ai sentimenti.Come si racconta nell’articolo sotto riportato, il «vascón» ha compiuto da poco settant’anni e ormai non svolge più alcuna funzione idraulica, ma in quei decenni era giovane e tutta l’attività si trovava in continua espansione.



A fianco del ciclopico fungo, negli angoli dell’ampio recinto che lo racchiudeva, sorgevano due palazzine, che ancora ci sono, immutate. Lì abitavano tre famiglie di quegli artefici del rifornimento idrico della città e per noi, loro figli, bambini e ragazzini, sembrava di vivere una grande avventura.
Nel basso fabbricato che unisce i due caseggiati, c’erano l’officina e il magazzino, cosicché il grande cortile brulicava di persone indaffarate e ferveva di lavoro.
Tutti noi bambini e ragazzi, prima o poi, e anche i nostri amici ed amiche, siamo saliti fin lassù, sulla terrazza più alta, ad ammirare uno splendido panorama.





Dall’album di famiglia: nelle due foto d’epoca, alcuni protagonisti di quella stagione sul tetto del “vascòn” e, sullo sfondo, una Fidenza molto diversa da quella di oggi (sono passati 70 anni e si vede)



Ora molte cose non ci sono più. Per esempio, la centrale di distribuzione «nuova» degli anni ’60, costruita in Corea, a fianco di Casa Rabaiotti, è stata abbattuta per far posto ad un palazzo che dà praticamente in strada.
La stessa costruzione d’avanguardia del serbatoio pensile, unica per l’originalità della forma, ha rischiato di essere demolita. Anche se, per fortuna, in tempi di telefonia mobile si rivela di nuovo utile e sul tetto brulicano le antenne.
Qualcosa è rimasto, dunque. Ma quel che rischia di scomparire è il ricordo e, oserei dire, il mito di quell’epoca e di quegli uomini, molti dei quali sono oggi scomparsi.
Un pensiero particolare vorrei dedicarlo al piccolo grande Olinto, detto familiarmente Olindo. Quando faceva il turno di notte, di sorveglianza alle macchine, molte della mie serate di studente pre-adolescente le passavo in sua compagnia, ad ascoltare i suoi racconti meravigliosi ed eccitanti.
Un altro grande maestro, tra i più giovani, è stato Dionisio, poeta e pittore. Lui abita ancora nella stessa palazzina dove sono stato io fino a vent’anni e, meglio di me, potrebbe essere il cantore di quella grande stagione.
Ma io mi chiedo: perché, ad esempio, non mettere una targa in Via Cairoli che ricordi il pozzo n. 1 dell’acquedotto fidentino? Tra l’altro non sono neppure sicuro che la salvaguardia del sito sia impeccabile. L’area verde del vecchio complesso è accessibile a privati dal retro. C’è un varco nella siepe metallica del caseggiato della parallela Via Pisacane n. 6 che consente l’accesso (indicato dalla freccia nella foto sotto) a un’area che dovrebbe essere ancora pubblica e costituire un piccolo patrimonio storico di tutti i cittadini. Ci sono posizionati un tavolino e delle sedie che, persino dal satellite, guardando bene, si individuano.



Un pozzo da cui sgorga acqua è pur sempre un miracolo della natura che va ammirato anche quando ha finito di svolgere la sua funzione.
La foto sotto dà un’idea viva della soddisfazione che esprimevano quegli artefici “eroici” della prima rete idrica comunale borghigiana e del clima avventuroso e pionieristico che ha caratterizzato quell’epoca.





Una foto del 30 giugno 1959: si collauda un pozzo che ha la portata di 60 litri al secondo. Al centro dell’immagine l’ingegner Vittorio Chiapponi.

Il direttore dell’acquedotto civico fino al 1972, l’ingegner Vittorio Chiapponi, che appare nella foto, fu anche arguto scrittore e proprio a quella grande avventura ha dedicato un suo libriccino che ora è una rarità bibliografica: I sinquant’âni del «vascón» 1937-1987 che porta come eloquente sottotitolo: «Brevi memorie sull’approvvigionamento idrico di Fidenza».




E allora mi vengono altre domande: perché non utilizzare i locali abbandonati dell’officina e del magazzino del vecchio acquedotto, nonché la stessa base del fungo, per realizzare una specie di museo storico della distribuzione delle acque nel Borgo?






Nella foto, la base del “fungo”, che era occupata dai filtri dell’acqua e, nel sotterraneo, dalle turbine. Dietro, nel fabbricato basso, la porta e le due finestre scure della vecchia officina.

Io coltivo però un’idea ancor più balzana e, perciò, temo, totalmente inattuabile per un qualche ostacolo di natura burocratica o economica. Comunque, lo chiedo ugualmente: non si potrebbe usare la torre come attrattiva turistica e far salire fin lassù, o anche solo fino alla ringhiera che si vede nella foto sotto, chi volesse ammirare il panorama di Fidenza?





Negli anni ’50 e ’60 capitava che anche le scolaresche fossero autorizzate a visitare l’intero complesso e a provare l’emozione di raggiungere il punto più alto della torre.





Scolari adolescenti nel 1951. Sullo sfondo la Via Emilia verso Parma

Di sicuro quel che si vedrebbe ora non è più il paesaggio di una volta, ma conserva aspetti interessanti, nonostante le devastazioni e gli insulti architettonico-urbanistici che, purtroppo, non ha ancor finito di subire.

domenica 27 luglio 2008

La tangenziale "fai-da-te"

Vorrei segnalare che, come si evince dall’immagine satellitare tratta da Google Maps (come tutte le altre che compaiono nel testo), la strada statale n. 9 da e per Piacenza e la strada provinciale n. 359 da e per Salsomaggiore si incrociano soltanto allo sbocco di Via Trieste in via IV Novembre. Cosicché, in teoria, un automobilista proveniente da Salsomaggiore e diretto a Piacenza, o viceversa, dovrebbe percorrere l’itinerario indicato in giallo: Via Trieste, Via IV Novembre, Via Gramizzi, Via Emilia Ovest.
Quando leggo o sento parlare della tangenziale sud, si fa riferimento sempre e soltanto al collegamento tra la Via Emilia Est, all’altezza di Coduro, e la SP 359, all’altezza di Vaio, mi pare. Non ho mai sentito neppure il minimo cenno al collegamento tra SP 359 e Via Emilia, quello ipotizzato sulla mappa con una doppia freccia rossa.






Quindi è naturale che, in mancanza di un’adeguata progettazione urbanistica, gli automobilisti si sono inventati una tangenziale “fai-da-te”, che è quella indicata nella mappa sottostante. Per abbreviare il percorso e tagliare fuori un tratto di Via Trieste e un bel pezzo di circonvallazione, basta imboccare Via Tasso all’altezza del punto indicato in cartina con il n. 1, percorrerla tutta fino alla rotonda, da cui si diparte Via Isonzo, imboccare anche questa per raggiungere Via Piave e, attraverso essa, il punto 2, al termine di Via Gramizzi (vd. itinerario contrassegnato dalle frecce rosse).


Poco importa che Via Tasso fiancheggi la scuola elementare Collodi e la parrocchia di San Paolo con annesso oratorio (indicate rispettivamente dal quadrato e dal rettangolo rossi nella mappa satellitare sotto). È vero che all’altezza dell’incrocio con Via Torricelli, dove sorgono la scuola e la chiesa, è stata creata una “zona 30”, cioè un divieto di superare i 30 Km/ora di velocità, con un restringimento di carreggiata (ben visibile nella foto) e due attraversamenti pedonali protetti, ma nelle ore di maggior transito nelle due direzioni (7-8 del mattino, 17-19 del pomeriggio) è ben difficile che i veicoli rispettino il limite ed è praticamente impossibile vedere un vigile (se non negli orari di entrata e uscita dei bambini da scuola).





Inoltre, in Luglio e Agosto nella zona si è trasferito il mercato bi-settimanale (mercoledì e sabato) che occupa il quadrato di strade intorno alla scuola (Via Tasso, Via Dante, Via Collodi, Via Torricelli; vd. foto sopra).
Perciò il traffico tangenziale, non potendo più percorrere quel tratto di Via Tasso, viene deviato sul percorso indicato nella mappa sotto, attraverso Via Galvani e un tratto di Via Parini, fino ad imboccare Via Isonzo.




Via Galvani è una strada stretta, non è normalmente utilizzata per il transito, se non quello di chi ci abita. È una “zona 30”, anche se le segnalazioni non sono chiare e non sono quasi mai rispettate. Come si può apprezzare anche da satellite (immagine sotto: Via Galvani è quella fiancheggiata dalla freccia rossa), i residenti vi parcheggiano le auto da entrambi i lati e c’è spazio per il passaggio al massimo di un autoveicolo per volta.




Tuttavia, per due giorni alla settimana, per due mesi, o forse più, del 2008, Via Galvani costituisce di fatto un tratto dell’inesistente e forse irrealizzabile tangenziale sud di Fidenza, con un passaggio continuo di automezzi in entrambe le direzioni.
Non ci sono altre soluzioni? Non si potrebbe chiudere al traffico tutta la zona nei giorni del mercato e rendere obbligatorio il percorso “giallo” della mappa 1? E, più in generale, non si può affrontare il problema di un collegamento più funzionale tra strada di Salsomaggiore e Via Emilia in direzione Piacenza?
Di certo si può obiettare che una strada simile alla freccia rossa diritta che ho disegnato sulla prima mappa non potrà mai essere costruita. E poi, c’è lo Stirone di mezzo, con il suo parco.
Ma se non la si progetta ora, ponendo dei vincoli all’ulteriore sviluppo urbanistico e all’insediamento di altre attività produttive, ipotizzando un ponte sullo Stirone in una zona del parco tutto sommato di minor pregio rispetto ai territori a monte, i residenti di Via Tasso e vie adiacenti saranno condannati per sempre ad avere la tangenziale che gli passa sotto casa, con tutti i disagi ed i rischi che questo fatto potrà comportare.

martedì 10 giugno 2008

I campi coltivati di Via Croce Rossa

Ho ritrovato qualche giorno fa questa foto che ritrae un campo arato a ridosso della città.



L’avevo scattata nel settembre 2007. Sullo sfondo si vedono le mura del cimitero e, oltre la fila di alberi che delimitano la ferrovia, le due torri e il campanile della Gran Madre di Dio. Non è venuta molto bene: è un po’ in controluce. Infatti l’avevo buttata in fondo a un cassetto. Quando me la sono ritrovata in mano per caso mi ha, però, mi fatto riflettere.
Ho pensato che questa zona di Via Croce Rossa diventerà presto strategica.
Eccola in un’immagine dal satellite, tratta da Google Maps:

Nel punto 1, da cui la foto è stata scattata, si vede anche un tratto di Via Croce Rossa. Nel punto 2, si riconoscono il fabbricato della stazione e la bianca costruzione delle “torri gemelle” (nell’angolo destro in basso dell’immagine). In questa zona fervono lavori di trasformazione urbana destinati a collegare, tramite il nuovo sottopasso sotto la piazza della stazione, Via Carducci con Via Mazzini, con il sottopasso (il vecchio “voltone”) che collega il centro storico con Via Croce Rossa, appunto, e, soprattutto, con Via Marconi e la tangenziale.
Ma, se non ricordo male, anche la zona 1 dovrebbe presto essere interessata da lavori.
Osserviamo la situazione con una prospettiva più ampia:

Il punto 2 indica la zona del voltone con il prolungamento di Via Marconi, che fiancheggia il parcheggio accanto al cimitero e si collega con la nuova uscita della tangenziale.
Il punto 1, invece, indica la zona del futuro sottopasso di Via Croce Rossa – Via Mascagni che dovrebbe rappresentare il secondo asse viario di collegamento tra il centro della città da una parte e tangenziale ed A1 dall’altra.
In tal caso quella specie di trapezio sghembo ed irregolare compreso tra tangenziale nord, Via Marconi e Via Croce Rossa diventerebbe forse molto appetibile per diversi soggetti economici, dato il traffico, in entrata e in uscita da Fidenza, che transiterà su quelle strade.
Quindi viene da chiedersi: ci saranno ancora quei campi coltivati nel 2010-2011?

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sabato 26 aprile 2008

Fidenza scomparsa

Ho ritrovato per caso questa foto ingiallita che avevo stampato io stesso, creando una specie di effetto impressionistico “alla Emanuelli”. Erano forse i primi anni ’80 e mi divertivo in un’improvvisata camera oscura, imitando il David Hemmings di Blow Up, a cercare aspetti inconsueti della nostra piccola città. Non ho mai scoperto omicidi, ma questa foto, che ritrae le case popolari di Via Pascoli sullo sfondo di un campo di mais, indirettamente svela qualcosa che oggi non c’è più.



Osservando la ripresa dal satellite, si possono individuare la zona fotografata nel riquadro in rosso e il punto da cui la foto è stata scattata, che è l’attuale rotonda di Via Baracca, nel cerchietto rosso.




In mezzo ora non c’è più un campo di mais, ma il quartiere residenziale di Via Nagy e Via Massenza.

domenica 20 gennaio 2008

Chi l'ha visto?

Leggo sul sito del Comune di Fidenza che la nostra città, "per l’innovativa esperienza dell’assessorato ambiente, è stata invitata al convegno internazionale Climate Change Urban Forestry – A global vision, many local solutions and best practices, che si è svolto a Roma il 17 e il 18 dicembre richiamando nella capitale i massimi esperti mondiali sul tema delle città e del verde urbano. Fiore all’occhiello della nostra città, oltre all’enorme patrimonio di verde pubblico con indici pro capite elevatissimi, è il bosco urbano, che è stato anche protagonista della puntata del 20 dicembre di GR1 Habitat, i colori della terra, la rubrica di approfondimento del radiogiornale di Radio Uno. [...] Il bosco urbano, un polmone verde alle porte della città, è situato tra la tangenziale e via Marconi, e ha preso forma con i lavori nell’area della stazione. Nell’area boschiva, infatti, sono stati trapiantati i 24 tigli [21 in un altro articolo sullo stesso sito] e la quercia espiantati dal piazzale della stazione e dal parco Guernica".

Ma dov'è esattamente questo fiore all'occhiello? Consultando Google Maps mi sembra di individuarlo nell'area cerchiata in rosso a ridosso della tangenziale, nelle due foto da satellite.
E' davvero quello? Non so. Non l'ho mai visto da vicino e non so nemmeno come sia raggiungibile. Ci sono percorsi pedonali o ciclabili che lo raggiungono agevolmente dal centro della città? Leggendo l'articolo queste indicazioni non si possono ricavare, se non in modo alquanto nebuloso.
Ed è davvero urbano questo bosco? Il significato del termine "urbano", per qualsiasi dizionario della lingua italiana è: "cittadino, della città".
Osservando la mappa, se il bosco è proprio quello, di cittadino sembra avere veramente poco. Si trova oltre la ferrovia, oltre il Cimitero, oltre gli insediamenti artigianal/industriali di Via Marconi, non ci sono abitazioni, se non sparse, non c'è agglomerato urbano vero e proprio, non c'è la città, che è tutta dall'altra parte.
Può darsi che il fantomatico bosco sia al di qua del cartello stradale "Fidenza" e che ciò basti per denominarlo urbano. O non sarà magari necessario riformare il dizionario?

Granchi rossi

La popolazione delle città del mondo ha superato quella di tutto il resto del pianeta.
Le città sono responsabili dell'emissione dell'80% di anidride carbonica.
Entro cinque anni le calotte artiche d'estate saranno completamente sciolte.
Già l'estate scorsa il passaggio a Nord-Ovest è stato, per cinque settimane, percorribile dalle navi.
Sono tutti dati molto allarmanti che pongono numerosi interrogativi sull'irreversibilità dei mutamenti climatici in atto e sul futuro della Terra.
In proposito, ho letto su Repubblica.it un'intervista a Werner Herzog molto interessante. Parlando dei granchi rossi dell'isola di Christmas, a nord-ovest dell'Australia, ripresi in due suoi film (Rintocchi dal profondo e Invincibile), di quei "milioni e milioni di granchi rossi che uscivano dalla foresta", che era impossibile non calpestarli camminando, Herzog riflette sul destino dell'uomo e della vita sul nostro pianeta:

"[...] E poi siamo coscienti che creature come queste ci sopravviveranno. Dopo essere stato in Antartide e aver visto il mondo da un punto di vista completamente diverso, ho capito che la nostra civiltà tecnologica, con il suo enorme spreco di risorse, non è sostenibile. Ma non è solo questo, è ovvio che la tecnologia sarà la prima a sparire. Alla fine la natura ci regolerà e noi scompariremo abbastanza in fretta, più rapidamente di quanto non si siano estinti i dinosauri. Per loro ci vollero milioni di anni, anche se milioni di anni in termini geologici non sono nulla. La presenza umana sparirà più in fretta. Che resterà di noi? Ho parlato con molti scienziati e mi hanno detto che i granchi, i ricci di mare e le spugne sono quelli che avranno maggiori probabilità di sopravvivere. Tra le creature terrestri, i rettili. Cosa rimarrà, invece, di noi? Credo che tra le follie più pericolose realizzate dall'uomo su questo pianeta resteranno soprattutto le dighe, come quella del Vajont, che ha 60 metri di fondamenta di cemento e acciaio, ed è alta 150 metri. Nonostante tutto è ancora in piedi, e tra duecento o trecentomila anni sarà ancora lì. Torino non ci sarà più, e nemmeno Los Angeles, ma il Vajont durerà più a lungo delle piramidi. La più grande delle follie umane sopravviverà a tutto il resto".

domenica 6 gennaio 2008

Il fattore 32




Ho letto su La Repubblica del 3 gennaio 2008 un articolo del Premio Pulitzer Jared Diamond, "Fattore 32, così noi ricchi consumiamo la Terra".
Si tratta di un articolo di estremo interesse, scritto con chiarezza. Ne consiglio a tutti la lettura.
Inizia così:
"Per i matematici il numero 32 è interessante poiché è 2 elevato alla quinta potenza: 2 per 2 per 2 per 2 per 2. Per gli economisti il numero 32 è ancora più particolare, poiché quantifica la differenza di stile di vita tra il mondo sviluppato, il Primo Mondo, e quello in via di sviluppo, il Terzo Mondo. Rispetto a quest’ultimo, infatti, il tasso medio con il quale nel primo si
consumano risorse quali petrolio e metalli, producendo rifiuti come plastica e gas serra è di circa 32 volte più alto in America settentrionale, Europa occidentale, Giappone e Australia. [...]".
C'è parecchio da riflettere...

sabato 5 gennaio 2008

Fidenza sopravviverà?

Ho letto il libro di Aldo Cazzullo, che parla anche di noi. Il titolo: Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita, una metafora certo non entusiasmante in vista del futuro.
Mi ha colpito il fatto che Fidenza stia diventando famosa anche perché ospita uno di questi iperluoghi, che divengono simboli “della svendita, non solo di beni ma di valori”. Mondi paralleli in cui “tutto diventa merce, comprese le relazioni tra le persone”, dove si attua “il mercato dei beni più preziosi: la giustizia, l’amore, il tempo, il cognome, gli embrioni, la fede, la cultura; fino agli uomini, trattati come cose proprio mentre cani e Suv diventano più importanti delle persone”.
Ho sentito Luca Mercalli in televisione, a Chetempochefa, richiamare ripetutamente l’attenzione sui pericoli di una crescita economica sconsiderata. In futuro, tra mutazioni climatiche e crisi energetica, la capacità del sistema di attutire i colpi, di limitare i danni, potrebbe diminuire notevolmente. Perciò, bisognerebbe dare “priorità assoluta al risparmio e all'efficienza energetica, alla produzione alimentare di filiera corta, all’arresto della cementificazione dei suoli agrari che sono la nostra assicurazione sul futuro”. Preservare i terreni fertili e smettere di cementificare è una possibile uscita di sicurezza, se la sopravvivenza stessa diventasse un problema.
Ho letto un articolo con titolo e occhiello molto eloquenti: «La città futura. Burdett: “Facciamo come a Londra”. Intervista / Il celebre architetto inglese propone che la crescita urbana avvenga solo nelle ex aree industriali senza toccare il verde» (La Repubblica, 14 dicembre 2007).
Mi è venuto in mente un apologo che avevo sentito in televisione parecchio tempo fa. Lo si può prendere come un gioco ma fa molto riflettere.
Bisogna immaginare un grande bacino idrico da cui attingiamo ogni giorno acqua. Il primo giorno un pochino, il secondo giorno un po’ di più, e così via. Il nostro uso della risorsa è crescente e per essere più precisi aumenta in progressione geometrica.
È un gioco facile da fare ed è veramente impressionante. Ad esempio, una progressione geometrica è una serie di numeri del tipo 1, 2, 4, 8, 16, 32, ecc. Se proviamo a sviluppare i calcoli su 29 giorni ci accorgiamo che il risultato lascia senza fiato. Il primo giorno abbiamo attinto 1 metro cubo d’acqua ma il nostro consumo è salito in 29 giorni a oltre 268 milioni di metri cubi!
Il bello deve però ancora venire. Noi siamo tranquilli, perché sappiamo che il bacino idrico si è prosciugato solo della metà. Ma la domanda è: quanto tempo ci vorrà a prosciugarlo tutto? Ed è la risposta a lasciare attoniti: basterà un solo giorno a lasciarci senz’acqua!
Certo, è soltanto un’allegoria e si tratta pur sempre di stabilire qual è il valore reale di quel “giorno”: 10 anni? Cinquanta? Un secolo?
Per saperlo bisognerebbe calcolare a ritroso i ritmi di crescita e di consumo delle risorse, ma in ogni caso non sarà difficile accorgersi che il ragionamento di Mercalli è giusto: non bisogna rallentare, bisogna fermarsi, smettere di cementificare, preservare i suoli fertili, non per noi forse ma di sicuro per le generazioni future.
Poi, queste letture e riflessioni, mi han portato inevitabilmente a pensare a quel che succede a Fidenza. Se percorro via Togliatti, dall’incrocio con la Via Emilia (via XXIV Maggio) in direzione di Vaio e Ponte Ghiara, sulla sinistra, dove una volta c’era la campagna, ora sono sorti, fino ai piedi delle colline, nuovi insediamenti abitativi e un grande ospedale. Tutti quei terreni fertili sono stati soffocati da un diluvio di cemento e di asfalto.
Se prendo la direzione di Soragna, fino al casello dell’A1, fino all’Outlet (da cui hanno preso avvio queste considerazioni), se penso al milione di metri cubi di cemento che colerà su Bastelli, mi viene da chiedere: in futuro resterà un po’ di terreno agricolo nel territorio di Fidenza? L’espansione urbanistica continuerà in progressione geometrica o si arresterà, come è assolutamente necessario che accada fin d’ora?
Ho sentito un assessore che parlava del futuro insediamento produttivo di Bastelli come di un progetto bellissimo, eco-compatibile ad alti livelli.
Ho sentito un altro assessore che, a proposito dei troppi alberi abbattuti o sradicati in città, rispondeva che Fidenza è ben al di sopra dei parametri di legge per il verde urbano.
Chissà se hanno ragione loro?
Mi è tornato alla mente Maurizio Crozza che, citando De Gasperi, ricordava che un buon politico non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni.
I nostri amministratori sembrano tranquilli. Chissà a quale delle due cose stanno pensando?

Foto 1: l'urbanizzazione di Fidenza circa quarant'anni fa (la città era tutta dentro la linea rossa), quando il numero di abitanti era più o meno lo stesso di oggi

Foto 2: Fidenza e il suo territorio, visti dal satellite (mancano ancora il quartiere Europa e i futuri insediamenti di Bastelli).

giovedì 3 gennaio 2008

Fidenza che scompare

Il complesso abitativo-imprenditoriale dei Maghenzani è stato demolito: non esiste più. Questa è forse l’ultima foto che lo raffigura, ormai disabitato e abbandonato, in totale disuso.


Come scrive James Hillman, anche i luoghi hanno un’anima.
Questo complesso di anime ne aveva sicuramente moltissime.
Immaginate la vita di un distributore di combustibile sulla via Emilia, fin dalla fine degli anni ’40, con tutto il passaggio di automobili e autotreni. Con la vicina osteria, frequentazione abituale soprattutto dei camionisti. E poi la vasta rete di distributori della provincia, e persino oltre, a cui era collegato e che ad esso facevano capo. E c’era, se la memoria non m’inganna, anche la distribuzione di bombole di gas. Accanto, benché nella foto si intraveda appena, il capannone per la lubrificazione e il lavaggio.
Immaginate quanta gente è passata di lì e quante persone ci hanno lavorato, i gestori che si sono succeduti quando i proprietari hanno lasciato la gestione diretta, i ragazzini che ci hanno lavorato d’estate per rimediare qualche soldo.
Immaginate poi la grande casa, molto bella, certo da risistemare, che ancora avrebbe potuto continuare a vivere: le centinaia di persone che l’hanno frequentata, che sono salite e scese per quelle scale, che hanno vissuto dentro e attraverso di essa.
In quel luogo, traboccante di anime, si sono intrecciate le storie di chissà quanta gente!
Vicende che scorrevano sulla strada, di viaggi, di traffici, di affari; ma anche vicende che nascevano dentro le casa: per esempio, le sperimentazioni musicali…
Si potrebbe raccontare la storia di Fidenza e forse dell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, la storia di almeno tre generazioni di borghigiani e di italiani, prendendo come centro di ispirazione, tra il realistico e l’immaginario, quel complesso di “modernariato” (non voglio dire ancora archeologia) architettonico-industriale che ora le ruspe hanno spazzato via per sempre.
Ci vorrebbe qualcuno col talento adeguato e le giuste conoscenze dei fatti per scrivere un immenso romanzo, o addirittura più d’uno. Un valido scrittore ci ricaverebbe forse una grande saga alla Buddenbrook.
Io, per quanto esperto di crolli e demolizioni, non ne posseggo di sicuro le capacità e non ho neanche le conoscenze sufficienti, ma perché non auspicare che qualcuno voglia accollarsi la nobile impresa?
Oltretutto, un buon regista sarebbe in grado di farne un vasto capitolo di un road movie all’italiana, e chissà cos’altro.
Magari, un artista borghigiano potrebbe almeno aver avuto l’ispirazione di immortalare il tutto quando ancora era in piena attività, restituendoci in un’immagine l’atmosfera di un brandello della nostra memoria, come capita quando si ammira un capolavoro come "Gas" (1940) di Edward Hopper, un intenso sguardo evocativo su una fase di sviluppo della nostra civiltà occidentale.


P.S.: dato che sono in argomento, vorrei ricordare che nel frattempo è stato demolito un altro bell’esempio di modernariato industriale della città. Si tratta della “Nuova centrale di distribuzione dell’acqua”, costruita, se non ricordo male, negli anni ’60. Si trovava proprio a fianco di Casa Rabaiotti, su via Baracca, all’angolo con via Olaf Palme, dove c’è il rettangolino rosso sulla mappa.
Non posseggo foto del manufatto, ma conosco chi ne ha buonissima memoria e che ha legato una significativa parte della sua esistenza a luoghi di questo tipo.
Al suo posto sorgerà l’ennesimo centro residenziale.
Certo, non serviva più da tempo. La rete distributiva dell’acqua segue ora altri percorsi.
Tuttavia, se la logica per abbattere fosse solo quella dell’inservibilità pratico-tecnica e dell’incessante distruzione/produzione di cose, si può cominciare a temere che molte altre costruzioni belle, storiche, “dense di anima”, saranno abbattute in futuro, per fare spazio ai frutti della crescita economica. Se la cementificazione selvaggia non esita a distruggere le terre fertili a sud della città (ci vogliono centinaia d’anni per ricreare l’humus inaridito, figuriamoci quello sepolto nel cemento!), che rispetto potrà mai avere per case, palazzi, capannoni, e altri edifici ormai “inutili”?

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Roderick Usher apre il suo blog e annuncia la pubblicazione del racconto di Edgar Allan Poe "Il crollo della Casa Usher"