C'era una volta un distributore di benzina (foto 1) ormai in disuso che occupava un triangolo di terreno tra due strade urbane (foto 2), una delle quali è tuttora un viale in parte alberato, una zona residenziale, con ville e palazzine al massimo di quattro piani. Quel triangolo poteva forse essere restituito alla città creandovi una bella aiuola di verde.
Ma non la pensavano così i geni dell'urbanistica dell'epoca, una decina d'anni fa, quando ancora non c'era la crisi economico-finanziaria e si costruiva su qualsiasi fazzoletto di terra. E così in quel triangolo è sorto un bel palazzo di sette piani, che non a caso evoca il racconto/incubo di Dino Buzzati, qualcosa che ha che fare con la follia e l'alienazione più che con l'architettura e l'urbanistica (foto 3). Posto a sud rispetto al viale residenziale delle villette, l'obbrobbrio costruttivo era ed è destinato a togliere loro sole e luce.
Poi è venuta la crisi e tutto è andato a rotoli. Il risultato? L'orrido e minaccioso scheletro di cemento è ancora lì, sette o otto anni dopo, a violare lo skyline cittadino (foto 4). Per quanto tempo ancora resterà lì? E cè persino il pericolo che venga portato a termine?
Non sarebbe opportuno ammettere l'errore di aver concesso un'autorizzazione simile e abbattere l'ecomostro?
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