domenica 20 gennaio 2008

Chi l'ha visto?

Leggo sul sito del Comune di Fidenza che la nostra città, "per l’innovativa esperienza dell’assessorato ambiente, è stata invitata al convegno internazionale Climate Change Urban Forestry – A global vision, many local solutions and best practices, che si è svolto a Roma il 17 e il 18 dicembre richiamando nella capitale i massimi esperti mondiali sul tema delle città e del verde urbano. Fiore all’occhiello della nostra città, oltre all’enorme patrimonio di verde pubblico con indici pro capite elevatissimi, è il bosco urbano, che è stato anche protagonista della puntata del 20 dicembre di GR1 Habitat, i colori della terra, la rubrica di approfondimento del radiogiornale di Radio Uno. [...] Il bosco urbano, un polmone verde alle porte della città, è situato tra la tangenziale e via Marconi, e ha preso forma con i lavori nell’area della stazione. Nell’area boschiva, infatti, sono stati trapiantati i 24 tigli [21 in un altro articolo sullo stesso sito] e la quercia espiantati dal piazzale della stazione e dal parco Guernica".

Ma dov'è esattamente questo fiore all'occhiello? Consultando Google Maps mi sembra di individuarlo nell'area cerchiata in rosso a ridosso della tangenziale, nelle due foto da satellite.
E' davvero quello? Non so. Non l'ho mai visto da vicino e non so nemmeno come sia raggiungibile. Ci sono percorsi pedonali o ciclabili che lo raggiungono agevolmente dal centro della città? Leggendo l'articolo queste indicazioni non si possono ricavare, se non in modo alquanto nebuloso.
Ed è davvero urbano questo bosco? Il significato del termine "urbano", per qualsiasi dizionario della lingua italiana è: "cittadino, della città".
Osservando la mappa, se il bosco è proprio quello, di cittadino sembra avere veramente poco. Si trova oltre la ferrovia, oltre il Cimitero, oltre gli insediamenti artigianal/industriali di Via Marconi, non ci sono abitazioni, se non sparse, non c'è agglomerato urbano vero e proprio, non c'è la città, che è tutta dall'altra parte.
Può darsi che il fantomatico bosco sia al di qua del cartello stradale "Fidenza" e che ciò basti per denominarlo urbano. O non sarà magari necessario riformare il dizionario?

Granchi rossi

La popolazione delle città del mondo ha superato quella di tutto il resto del pianeta.
Le città sono responsabili dell'emissione dell'80% di anidride carbonica.
Entro cinque anni le calotte artiche d'estate saranno completamente sciolte.
Già l'estate scorsa il passaggio a Nord-Ovest è stato, per cinque settimane, percorribile dalle navi.
Sono tutti dati molto allarmanti che pongono numerosi interrogativi sull'irreversibilità dei mutamenti climatici in atto e sul futuro della Terra.
In proposito, ho letto su Repubblica.it un'intervista a Werner Herzog molto interessante. Parlando dei granchi rossi dell'isola di Christmas, a nord-ovest dell'Australia, ripresi in due suoi film (Rintocchi dal profondo e Invincibile), di quei "milioni e milioni di granchi rossi che uscivano dalla foresta", che era impossibile non calpestarli camminando, Herzog riflette sul destino dell'uomo e della vita sul nostro pianeta:

"[...] E poi siamo coscienti che creature come queste ci sopravviveranno. Dopo essere stato in Antartide e aver visto il mondo da un punto di vista completamente diverso, ho capito che la nostra civiltà tecnologica, con il suo enorme spreco di risorse, non è sostenibile. Ma non è solo questo, è ovvio che la tecnologia sarà la prima a sparire. Alla fine la natura ci regolerà e noi scompariremo abbastanza in fretta, più rapidamente di quanto non si siano estinti i dinosauri. Per loro ci vollero milioni di anni, anche se milioni di anni in termini geologici non sono nulla. La presenza umana sparirà più in fretta. Che resterà di noi? Ho parlato con molti scienziati e mi hanno detto che i granchi, i ricci di mare e le spugne sono quelli che avranno maggiori probabilità di sopravvivere. Tra le creature terrestri, i rettili. Cosa rimarrà, invece, di noi? Credo che tra le follie più pericolose realizzate dall'uomo su questo pianeta resteranno soprattutto le dighe, come quella del Vajont, che ha 60 metri di fondamenta di cemento e acciaio, ed è alta 150 metri. Nonostante tutto è ancora in piedi, e tra duecento o trecentomila anni sarà ancora lì. Torino non ci sarà più, e nemmeno Los Angeles, ma il Vajont durerà più a lungo delle piramidi. La più grande delle follie umane sopravviverà a tutto il resto".

domenica 6 gennaio 2008

Il fattore 32




Ho letto su La Repubblica del 3 gennaio 2008 un articolo del Premio Pulitzer Jared Diamond, "Fattore 32, così noi ricchi consumiamo la Terra".
Si tratta di un articolo di estremo interesse, scritto con chiarezza. Ne consiglio a tutti la lettura.
Inizia così:
"Per i matematici il numero 32 è interessante poiché è 2 elevato alla quinta potenza: 2 per 2 per 2 per 2 per 2. Per gli economisti il numero 32 è ancora più particolare, poiché quantifica la differenza di stile di vita tra il mondo sviluppato, il Primo Mondo, e quello in via di sviluppo, il Terzo Mondo. Rispetto a quest’ultimo, infatti, il tasso medio con il quale nel primo si
consumano risorse quali petrolio e metalli, producendo rifiuti come plastica e gas serra è di circa 32 volte più alto in America settentrionale, Europa occidentale, Giappone e Australia. [...]".
C'è parecchio da riflettere...

sabato 5 gennaio 2008

Fidenza sopravviverà?

Ho letto il libro di Aldo Cazzullo, che parla anche di noi. Il titolo: Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita, una metafora certo non entusiasmante in vista del futuro.
Mi ha colpito il fatto che Fidenza stia diventando famosa anche perché ospita uno di questi iperluoghi, che divengono simboli “della svendita, non solo di beni ma di valori”. Mondi paralleli in cui “tutto diventa merce, comprese le relazioni tra le persone”, dove si attua “il mercato dei beni più preziosi: la giustizia, l’amore, il tempo, il cognome, gli embrioni, la fede, la cultura; fino agli uomini, trattati come cose proprio mentre cani e Suv diventano più importanti delle persone”.
Ho sentito Luca Mercalli in televisione, a Chetempochefa, richiamare ripetutamente l’attenzione sui pericoli di una crescita economica sconsiderata. In futuro, tra mutazioni climatiche e crisi energetica, la capacità del sistema di attutire i colpi, di limitare i danni, potrebbe diminuire notevolmente. Perciò, bisognerebbe dare “priorità assoluta al risparmio e all'efficienza energetica, alla produzione alimentare di filiera corta, all’arresto della cementificazione dei suoli agrari che sono la nostra assicurazione sul futuro”. Preservare i terreni fertili e smettere di cementificare è una possibile uscita di sicurezza, se la sopravvivenza stessa diventasse un problema.
Ho letto un articolo con titolo e occhiello molto eloquenti: «La città futura. Burdett: “Facciamo come a Londra”. Intervista / Il celebre architetto inglese propone che la crescita urbana avvenga solo nelle ex aree industriali senza toccare il verde» (La Repubblica, 14 dicembre 2007).
Mi è venuto in mente un apologo che avevo sentito in televisione parecchio tempo fa. Lo si può prendere come un gioco ma fa molto riflettere.
Bisogna immaginare un grande bacino idrico da cui attingiamo ogni giorno acqua. Il primo giorno un pochino, il secondo giorno un po’ di più, e così via. Il nostro uso della risorsa è crescente e per essere più precisi aumenta in progressione geometrica.
È un gioco facile da fare ed è veramente impressionante. Ad esempio, una progressione geometrica è una serie di numeri del tipo 1, 2, 4, 8, 16, 32, ecc. Se proviamo a sviluppare i calcoli su 29 giorni ci accorgiamo che il risultato lascia senza fiato. Il primo giorno abbiamo attinto 1 metro cubo d’acqua ma il nostro consumo è salito in 29 giorni a oltre 268 milioni di metri cubi!
Il bello deve però ancora venire. Noi siamo tranquilli, perché sappiamo che il bacino idrico si è prosciugato solo della metà. Ma la domanda è: quanto tempo ci vorrà a prosciugarlo tutto? Ed è la risposta a lasciare attoniti: basterà un solo giorno a lasciarci senz’acqua!
Certo, è soltanto un’allegoria e si tratta pur sempre di stabilire qual è il valore reale di quel “giorno”: 10 anni? Cinquanta? Un secolo?
Per saperlo bisognerebbe calcolare a ritroso i ritmi di crescita e di consumo delle risorse, ma in ogni caso non sarà difficile accorgersi che il ragionamento di Mercalli è giusto: non bisogna rallentare, bisogna fermarsi, smettere di cementificare, preservare i suoli fertili, non per noi forse ma di sicuro per le generazioni future.
Poi, queste letture e riflessioni, mi han portato inevitabilmente a pensare a quel che succede a Fidenza. Se percorro via Togliatti, dall’incrocio con la Via Emilia (via XXIV Maggio) in direzione di Vaio e Ponte Ghiara, sulla sinistra, dove una volta c’era la campagna, ora sono sorti, fino ai piedi delle colline, nuovi insediamenti abitativi e un grande ospedale. Tutti quei terreni fertili sono stati soffocati da un diluvio di cemento e di asfalto.
Se prendo la direzione di Soragna, fino al casello dell’A1, fino all’Outlet (da cui hanno preso avvio queste considerazioni), se penso al milione di metri cubi di cemento che colerà su Bastelli, mi viene da chiedere: in futuro resterà un po’ di terreno agricolo nel territorio di Fidenza? L’espansione urbanistica continuerà in progressione geometrica o si arresterà, come è assolutamente necessario che accada fin d’ora?
Ho sentito un assessore che parlava del futuro insediamento produttivo di Bastelli come di un progetto bellissimo, eco-compatibile ad alti livelli.
Ho sentito un altro assessore che, a proposito dei troppi alberi abbattuti o sradicati in città, rispondeva che Fidenza è ben al di sopra dei parametri di legge per il verde urbano.
Chissà se hanno ragione loro?
Mi è tornato alla mente Maurizio Crozza che, citando De Gasperi, ricordava che un buon politico non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni.
I nostri amministratori sembrano tranquilli. Chissà a quale delle due cose stanno pensando?

Foto 1: l'urbanizzazione di Fidenza circa quarant'anni fa (la città era tutta dentro la linea rossa), quando il numero di abitanti era più o meno lo stesso di oggi

Foto 2: Fidenza e il suo territorio, visti dal satellite (mancano ancora il quartiere Europa e i futuri insediamenti di Bastelli).

giovedì 3 gennaio 2008

Fidenza che scompare

Il complesso abitativo-imprenditoriale dei Maghenzani è stato demolito: non esiste più. Questa è forse l’ultima foto che lo raffigura, ormai disabitato e abbandonato, in totale disuso.


Come scrive James Hillman, anche i luoghi hanno un’anima.
Questo complesso di anime ne aveva sicuramente moltissime.
Immaginate la vita di un distributore di combustibile sulla via Emilia, fin dalla fine degli anni ’40, con tutto il passaggio di automobili e autotreni. Con la vicina osteria, frequentazione abituale soprattutto dei camionisti. E poi la vasta rete di distributori della provincia, e persino oltre, a cui era collegato e che ad esso facevano capo. E c’era, se la memoria non m’inganna, anche la distribuzione di bombole di gas. Accanto, benché nella foto si intraveda appena, il capannone per la lubrificazione e il lavaggio.
Immaginate quanta gente è passata di lì e quante persone ci hanno lavorato, i gestori che si sono succeduti quando i proprietari hanno lasciato la gestione diretta, i ragazzini che ci hanno lavorato d’estate per rimediare qualche soldo.
Immaginate poi la grande casa, molto bella, certo da risistemare, che ancora avrebbe potuto continuare a vivere: le centinaia di persone che l’hanno frequentata, che sono salite e scese per quelle scale, che hanno vissuto dentro e attraverso di essa.
In quel luogo, traboccante di anime, si sono intrecciate le storie di chissà quanta gente!
Vicende che scorrevano sulla strada, di viaggi, di traffici, di affari; ma anche vicende che nascevano dentro le casa: per esempio, le sperimentazioni musicali…
Si potrebbe raccontare la storia di Fidenza e forse dell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, la storia di almeno tre generazioni di borghigiani e di italiani, prendendo come centro di ispirazione, tra il realistico e l’immaginario, quel complesso di “modernariato” (non voglio dire ancora archeologia) architettonico-industriale che ora le ruspe hanno spazzato via per sempre.
Ci vorrebbe qualcuno col talento adeguato e le giuste conoscenze dei fatti per scrivere un immenso romanzo, o addirittura più d’uno. Un valido scrittore ci ricaverebbe forse una grande saga alla Buddenbrook.
Io, per quanto esperto di crolli e demolizioni, non ne posseggo di sicuro le capacità e non ho neanche le conoscenze sufficienti, ma perché non auspicare che qualcuno voglia accollarsi la nobile impresa?
Oltretutto, un buon regista sarebbe in grado di farne un vasto capitolo di un road movie all’italiana, e chissà cos’altro.
Magari, un artista borghigiano potrebbe almeno aver avuto l’ispirazione di immortalare il tutto quando ancora era in piena attività, restituendoci in un’immagine l’atmosfera di un brandello della nostra memoria, come capita quando si ammira un capolavoro come "Gas" (1940) di Edward Hopper, un intenso sguardo evocativo su una fase di sviluppo della nostra civiltà occidentale.


P.S.: dato che sono in argomento, vorrei ricordare che nel frattempo è stato demolito un altro bell’esempio di modernariato industriale della città. Si tratta della “Nuova centrale di distribuzione dell’acqua”, costruita, se non ricordo male, negli anni ’60. Si trovava proprio a fianco di Casa Rabaiotti, su via Baracca, all’angolo con via Olaf Palme, dove c’è il rettangolino rosso sulla mappa.
Non posseggo foto del manufatto, ma conosco chi ne ha buonissima memoria e che ha legato una significativa parte della sua esistenza a luoghi di questo tipo.
Al suo posto sorgerà l’ennesimo centro residenziale.
Certo, non serviva più da tempo. La rete distributiva dell’acqua segue ora altri percorsi.
Tuttavia, se la logica per abbattere fosse solo quella dell’inservibilità pratico-tecnica e dell’incessante distruzione/produzione di cose, si può cominciare a temere che molte altre costruzioni belle, storiche, “dense di anima”, saranno abbattute in futuro, per fare spazio ai frutti della crescita economica. Se la cementificazione selvaggia non esita a distruggere le terre fertili a sud della città (ci vogliono centinaia d’anni per ricreare l’humus inaridito, figuriamoci quello sepolto nel cemento!), che rispetto potrà mai avere per case, palazzi, capannoni, e altri edifici ormai “inutili”?

Roderick Usher apre il suo blog

Roderick Usher apre il suo blog e annuncia la pubblicazione del racconto di Edgar Allan Poe "Il crollo della Casa Usher"